Ciao nonna Rosa. Si è spenta a 104 anni un pezzo di memoria storica di Ceccano.

Si è spenta questa mattina all’età di 104 anni la signora Rosa Silvestri, la donna più anziana di Ceccano e probabilmente dell’intera provincia di Frosinone.
Era nata ad Arnara il 23 Giugno 1914, anno dello scoppio della prima guerra mondiale, cui l’Italia prese parte nel 1915. Poi si era trasferita e sposata a Ceccano.
Con Rosa, purtroppo, si spegne un pezzo di memoria storica della città, che le amministrazioni locali fino ad ora susseguitesi non hanno mai saputo prendere in considerazione e valorizzare, con progetti adeguati attraverso i quali coinvolgere scuole e giovani, in un cammino culturale teso alla scoperta delle proprie radici, per non dimenticare gli orrori della guerra, ed a contrastare, nello stesso tempo, quei fenomeni di estremismo politico che con troppa facilità oggi stanno sempre più riprendendo piede tra i giovani.
La signora Rosa fino a poche settimane fa, infatti, ricordava lucidamente i maggiori eventi che avevano lasciato un segno indelebile, soprattutto durante il secondo conflitto mondiale, nella comunità locale.
Dai giorni dell’occupazione tedesca, al passaggio delle truppe marocchine, i bombardamenti dell’esercito anglo-americano per lo sfondamento della cosiddetta linea “Gustav” e su tutti il bombardamento della Chiesa di Santa Maria del Fiume, di cui fu testimone diretta, e che portò alla completa distruzione del santuario ed al grido del miracolo da parte della popolazione ceccanese, per la statua della Vergine rimasta illesa tra le macerie.
Proprio presso la Chiesa di Santa Maria a fiume si svolgeranno le esequie nella giornata di domani, martedì 15 gennaio, alle ore 15.
All’intera famiglia le più sentite condoglianze.

La storia di Claudio Di Felice, un uomo innamorato

In questo articolo, Marco Giacosa, ci racconta la storia del signor Claudio Di Felice, un uomo che per 10 anni, dalla scomparsa di sua moglie, almeno due volte l’anno, in occasione del Natale e dell’anniversario della morte, le scriveva lettere d’amore negli annunci funebri a pagamento del quotidiano La Stampa.
Fino al Natale del 2007, quando nella sua ultima lettera, annunciava di aver finito tutti i risparmi e di dover per questo dirle addio.
È una storia commovente, nella quale mi sono imbattuto per caso e che ho pensato di condividere sulle pagine di questo blog, per cominciare a dare una nuova vita allo stesso.
Una storia che conferma un mio pensiero personale sul rapporto uomo, donna, amore e di cui scrissi tempo fa, dopo essermi imbattuto in un’altra storia, del tutto analoga, di un altro uomo che incontravo sempre ogni volta che mi recavo nel cimitero di Ceccano.
Per un uomo, infatti, è più difficile vivere senza avere più accanto la persona amata e con cui si è condiviso una vita intera.

Personalmente, vorrei morire per primo.

Una notte del dicembre del 2007, rileggendo quotidiani arretrati, m’imbattei nella necrologia che il signor Claudio Di Felice aveva pubblicato sulla Stampa, in cui diceva che quella sarebbe stata l’ultima perché aveva finito i soldi. Salutava il suo amore con una dolcezza che mi commosse.
All’epoca non scrivevo da nessuna parte: avevo qualche amico giornalista, segnalai la notizia, alla Stampa sembrò dovessero occuparsene in cronaca, alla fine se non ricordo male Massimo Gramellini scrisse qualche riga sul Buongiorno.
Perché era una notizia? Perché due volte l’anno, da una decina di anni, i lettori abituali avevano modo di leggere, negli annunci funebri a pagamento, le struggenti lettere d’amore che il signor Claudio Di Felice dedicava alla sua Cristina – e adesso non ci sarebbero più state; insomma, valeva sì la pena di sentirlo.

Andai a trovarlo, per mio conto. Trovai un uomo immerso in migliaia di oggetti, al buio, in una casa ferma al giorno in cui è rimasto solo.
Ne scrissi soltanto su un blog, per quanto ero capace. Volle il mio indirizzo, per qualche anno mi mandò gli auguri alle feste comandate, poi i biglietti cessarono. Mi diede le sue lettere inedite, che ne facessi cosa volevo, o potevo, in riferimento a una eventuale pubblicazione. Non ho mai potuto fare più che trascriverle su un blog. Ecco la sua storia.

“Per noi non è mai stato vero che tutto passa, l’Amore quando c’è resta per sempre”
(Claudio Di Felice, dalla lettera del 6 marzo 2002, all’alba del 1826° giorno)
Questo è un tempio consacrato all’amore per una donna che non c’è più. Prima del 6 marzo 1997 era un alloggio al quarto piano di un dignitoso palazzo del quartiere Lingotto di Torino. Quel giorno il signor Claudio Di Felice perse la sua ragion di vita e trovò la sua ragion di sopravvivenza: il ricordo della moglie Cristina. «Mai assenza fu più presenza», sta scritto con il rossetto sul grosso specchio all’ingresso. Accanto, sopra e sotto a fotografie dell’amor perduto.
E a parole, frasi, lettere. «Ventidue lettere le ho pubblicate, altre tredici le ho scritte e appese alle pareti». Ventidue lunghe lettere d’amore pubblicate in dieci anni nello spazio dei necrologi a pagamento del quotidiano La Stampa, dalle cui colonne lo scorso 23 dicembre, all’alba del 3944° giorno, ha detto: «Addio».
Parole, frasi, lettere, fotografie.
Claudio e Cristina si conobbero nel 1956, «il 13 aprile». Lei stava davanti a una bancarella del balon, il mercato dei rigattieri di Torino, e maneggiava una foto che lo incuriosì. Lui si avvicinò, le parlò, discussero di libri e di letture. Dopo qualche mese andarono a vivere assieme. Lui era un ufficiale di fanteria che aveva abbandonato la carriera militare (anche) per colpa di Pitagora («Cosa c’entrano i quadrati costruiti sui cateti con la strategia bellica?»), lei era una donna bellissima che faceva la sarta («Me la invidiavano tutti»). Lui intraprese di lì a poco la vita lavorativa in un’impresa attiva nel campo della sicurezza («Ufficio paghe e contributi, all’inizio. Mi ci vede, per come sono fatto, all’ufficio paghe e contributi? Più tardi, per fortuna, passai a occuparmi di questioni più serie, questioni di informazioni»), lei smise il taglio e cucito e si dedicò alla cura della casa. Si sposarono soltanto nel 1980. «Volevo che mia moglie potesse avere un giorno la reversibilità. All’inizio le nostre famiglie non accolsero con favore la convivenza, ma noi siamo stati bravi a ritagliarci i nostri spazi indipendenti». Si sposarono soltanto civilmente. «Avevamo tre tabernacoli. Usavamo proprio questa parola. Uno era il suo, che riempiva della sua fede. Uno era il mio, che riempivo della mia non-fede. Il terzo era il nostro, in comune, in cui tenevamo le nostre memorie. Eravamo custodi di memorie. Memorie di persone che conoscevamo, o con cui venivamo in contatto, memorie come quella ad esempio di Mario Grossi, che è un poeta parmense troppo poco noto. E dimenticato. Capisce? Dimenticato: per questo è qui da noi». E mostra un ritaglio di giornale, la Gazzetta di Parma, datato 5 giugno 1950, in cui si parla della morte di questo poeta sconosciuto.
Parole, frasi, lettere.
«Divoravamo libri. Che sono sempre stati la nostra grande passione comune. Come gli animali. Abbiamo sempre avuto tanto rispetto per le persone e per gli animali. Cristina una volta raccolse un passero ferito, lo curò a lungo nella nostra cucina, poi lo liberò» Animali come Totò, il pesce rosso che visse tredici anni sul tavolo del loro tinello dove oggi c’è un lume a olio, acceso. O come i gatti che hanno accompagnato la loro esistenza («Non dovrei dirlo, che ho fatto una cosa in barba ai regolamenti, che ho seppellito un nostro gatto in riva al Po, nella zona di Italia ‘61, e ogni tanto vado a trovarlo, vado a vedere dove è sepolto») e oggi portano i nomi di Gigia e Mimì, che ronfano beate sul divano e sulla poltrona.
«Avevamo una vita felice, aiutavamo le persone in difficoltà, io avevo la fortuna di poter procurare farmaci a chi non se li poteva permettere. Conducevamo una vita riservata, qualche amico e tanti conoscenti. Io avevo lei, lei aveva me, io vedevo lei, lei vedeva me, io ascoltavo lei, lei ascoltava me, e ci bastava».
Parole, frasi, lettere, fotografie. Lui va in pensione, lei si ammala. «Nel febbraio del 1993 Cristina iniziò a dimagrire. E sì che aveva il diabete, e qualche problema al cuore. Non ci pensammo, subito. E invece era cancro. Ho voluto appendere le foto di lei malata, vede?, in questa foto è divorata dalla malattia, ma l’ho messa apposta, per dire che per me era uguale, sana o malata, era sempre la mia Cristina». Della sofferenza fisica non parla, delle cure, degli interventi non fa parola. Il rimpianto è l’ultimo saluto. «Quel giorno alle Molinette i medici mi dissero di correre a casa perché la sua ora era vicina e le occorrevano i vestiti. Io mi affrettai, corsi più che potevo, ma quando rientrai in ospedale Cristina aveva già perso conoscenza e dopo un’ora morì».
Il giorno della morte di Cristina il passero andò a cantare sulla ringhiera del loro balcone. Totò girò sul rotondo, nella sua vaschetta, per otto ore di fila. Mimì e Gigia elusero la sorveglianza e furono sorpresi sul letto matrimoniale. Che oggi è intonso, sepolto da fiori, lettere e ritagli di giornale. Uno, visibile a distanza, parla della cura Di Bella e delle speranze che quell’anno aveva acceso nei cuori degli italiani. Fa il paio con una preghiera appesa a un’anta della cucina. E’ la fotocopia di un’invocazione a San Giovanni Bosco, in versi. Negli spazi bianchi tra le strofe, a biro rossa, sta scritto: «Il cancro, delle preghiere, se ne è fottuto».
«A Natale di quell’anno le scrissi la prima lettera sul quotidiano La Stampa. Investivo i miei risparmi, i soldi della mia pensione, ma volevo rendere omaggio al mio amore pubblicamente. Era come le scrivessi ogni volta una lapide. Abbiamo sempre letto assieme i necrologi, provavamo compassione per le persone che venivano a mancare, pensavamo alla loro vita, alle loro storie. Eravamo custodi dei ricordi di quelli che conoscevamo e anche di quelli che non conoscevamo, ritenevamo i cimiteri densi di vita perché trasudano rimpianti, vivono delle parole che il mondo dei vivi esprime per i defunti». Una lettera per il Natale del 1997, poi tre nel 1998, e poi due per anno, una all’anniversario e una a Natale.
«Scrivo a Cristina, mi rivolgo a lei, e siccome ho sempre avuto il massimo rispetto per lei e per la sua fede, mi rivolgo a lei pensandola in cielo, come avrebbe voluto. Ma lascio sempre trasparire la mia non-fede, e lascio aperta una porta alla speranza, come a dire: se è come dici tu, amore mio, un giorno ci rivedremo».
Parole, frasi, lettere, fotografie.
«In questi anni ho avuto più di ottocento contatti, tantissime persone mi hanno scritto, tanti hanno visto il mio numero sull’elenco e mi hanno telefonato». Come una signora di Nichelino, che gli scriveva di suo marito defunto e alla quale scriveva della sua dea cui questo tempio è consacrato. Divennero amici di penna, unirono i loro ricordi e li alimentarono, e ne vissero fino a quando, anche lei, se ne andò. Su un mobile accanto al tavolo c’è una busta su cui, a biro rossa, c’è scritto: «5 ottobre 2001, ultima lettera». Dentro, una foto. Oggi Claudio prende l’autobus due volte al mese e va a farle visita, al cimitero alle porte della città.
«Le ho detto addio, nell’ultima lettera. Ho detto addio alla mia Cristina perché ho finito i soldi. Per rispetto a lei non ho mai nemmeno fatto il conto di quanto ho speso in questi anni. Vivo della mia pensione, pranzo e ceno in un bar che mi ha fatto un buon prezzo per un primo e un secondo, perché ho settantacinque anni e problemi di salute per cui non posso mangiare molto. Ma anche risparmiando non potrò più permettermi le lettere al mio amore».
Gli scende una lacrima. E, quasi senza accorgersene, si volta verso il centro del tavolo. «Quando non ci sarò più, fai attenzione al lume, io ti parlerò attraverso la sua luce», gli aveva detto Cristina negli ultimi mesi. «Era brava a ricamare, sa? Vuole vedere?» dice quasi a scacciare i silenzi, mentre estrae dal taschino della camicia, sotto il maglione, un plico di documenti (parole, frasi, lettere, fotografie) tra i quali un centrino dolcemente rifinito. «Ne faceva lunghi come questo tavolo, sa?». Osserva il tavolo, Mimì miagola, o forse è Gigia. Una si è nascosta dietro a quel divano che da dieci anni e oltre, da più di 3944 giorni è diventato il suo letto. «Non dormo che venti minuti per volta, non riesco a dormire di più senza svegliarmi».
Accompagnando all’uscita dal tempio Claudio pesca a caso un biglietto dallo specchio, appeso a un gancio tra le scritte «6-3-97» e «ti amo». È vergato con grafia semplice, raccolto dalla tomba di Cristina, lasciato da mano anonima. C’è scritto: «Solo i tesori cominciano a vivere dopo la morte, perché una volta persi li portiamo con noi per sempre fino alla fine». Sono parole, che spiegano perché Claudio ha finito i soldi ma non perderà il suo tesoro.
(Torino, gennaio 2008)

[Nelle foto, le necrologie pubblicate sulla Stampa il 6 marzo 2001 e il 6 marzo 2002]

Ceccano: la grande farsa della task force ambientale

È stata annunciata nella giornata di ieri, per mezzo di una “conferenza stampa” (c’era un solo giornale invitato, ovvero l’organo ufficiale dell’amministrazione), indetta dietro la votazione di una delibera stilata in gran segreto, che prevede addirittura un apposito capitolo di euro 10mila l’anno, (sufficiente forse per qualche volantino propagandistico, non per contrastare l’inquinamento ambientale), quella che è stata definita la nuova task force che fronteggerà l’emergenza ambientale.

A circa un mese dal consiglio comunale aperto dello scorso 16 giugno, che tra i protagonisti degli interventi aveva visto un acceso dibattito, seguito anche sui social ed a mezzo stampa, tra il sindaco Caligiore ed uno degli esponenti dell’associazione Tolerus, Giovanni Pizzuti, senza alcuna riunione con le associazioni, i partiti, i cittadini ed ogni altra realtà del territorio, il sindaco Caligiore e la sua maggioranza, hanno fatto propria questa decisione: collaborare con Tolerus.

Si tratta in realtà di una mossa politica del sindaco Caligiore e della sua maggioranza, che ha pensato bene, utilizzando i soldi del comune e dunque di tutti i ceccanesi, di poter “avviare un dialogo” con qualcuno che gli stava rompendo le scatole, creandogli difficoltà politica e perdita di consenso elettorale.

Dal 2015 ad oggi, infatti, Giovanni Pizzuti, una volta insieme ad altri esponenti del Movimento 5 Stelle di Ceccano, qualche altra in veste di rappresentante del Centro Studi Tolerus, è stato tra i protagonisti, con tanto di selfie nel Palazzo di Giustizia di Frosinone e dichiarazioni sui social network, dei seguenti fatti:

Denuncia per firme false nella campagna elettorale del 2015, esposti in Procura, di cui uno nei confronti dell’arch. Frank Ruggero per lavori relativi al ponte di via Maiura (chissà l’architetto come avrà accolto la notizia), petizioni tra i cittadini, manifestazioni nelle strade di Ceccano, interviste al tg satirico “Striscia la Notizia”, attacchi sui social ed in consiglio comunale diretti al sindaco Caligiore ed alla sua responsabilità amministrativa sull’inquinamento e sulle autorizzazioni da rilasciare alle aziende…

Ieri, tutto questo era un lontano ricordo. Un po’ come vedere insieme il Ministro Matteo Salvini e lo scrittore Roberto Saviano, ridere e scherzare insieme.

Non a caso, ieri, tutti insieme, conversavano, si commuovevano e si lasciavano fotografare allegramente, grazie ad una collaborazione sugellata da una delibera della giunta comunale con la quale si impartiscono indicazioni per la gestione dell’ufficio ambiente in merito all’emergenza ambientale, e si istituisce un fondo di 10mila euro l’anno, cifra risibile rispetto alla problematica posta in essere.

Sarebbe interessante, quantomeno, che il cittadino Pizzuti e lo staff di Tolerus, rendessero di dominio pubblico non tanto il loro curriculum, ma le competenze tecniche che vantano per fronteggiare una simile situazione, al limite del disastro ambientale.

Appare, però, fin da ora evidente che la collaborazione potrebbe essere solo l’inizio di nuovo corso politico comunale, innescando una serie di questioni che toccano anche altri aspetti, come la gestione del Bosco Monumentale di Faito, per il quale si attende, forse, l’arrivo di eventuali finanziamenti per progetti specifici.

Ipotesi tra le tante che al momento si possono solo azzardare, anche se fin dalla sua fondazione Tolerus si è sempre interessata della salvaguardia e tutela del Bosco di Faito.

Ma davvero tra i dipendenti comunali che fino ad ora hanno gestito le problematiche ambientali e che custodiscono tutti gli incartamenti e dunque i segreti, inerenti le aziende insistenti sul territorio, ci sarà la massima trasparenza con il Centro Studi Tolerus?

Tralasciando i buoni propositi dell’amministrazione (solo a parole), per esperienza personale ritengo che tale ipotesi si possa escludere fin da ora. E riporto i seguenti atti, che intercorsero tra lo scrivente e lo stesso Ente comunale:

Provo, infine, a fare un po’ di outing:
Io mi vergognavo di soffrire di ansia, di essere processato per un articolo di giornale e sedere in Tribunale, davanti ad un Giudice, nello stesso banco di un imputato che aveva commesso reati ben più gravi di una presunta diffamazione a mezzo stampa, come spacciare la droga, rapinare una banca o stuprare una donna.

Vedendo l’incredibile foto di ieri, trapelata a mezzo stampa, istintivamente ho pensato: Beati voi che non vi vergognate di vendere onestà, trasparenza e coerenza per mero arrivismo personale. Che non vi vergognate di speculare politicamente sui sentimenti e sul dolore di chi ha visto morire un proprio parente di cancro!

Bisognerebbe rispolverarlo l’uso della parola vergogna. Si, vergogna, perché non ci si vergogna più di nulla e bisognerebbe farlo un po’ più spesso, perché in fondo è anche la voce di una certa coscienza interiore!

E allora, diciamolo forte: VERGOGNA!

Che fine ha fatto l’interrogazione parlamentare sull’inquinamento del sen. Ruspandini?

Era stata annunciata da alcuni organi di stampa locale con il solito tono euforistico di chi nella vita non sa fare altro che piegarsi alla volontà altrui come un povero suddito rassegnato al suo destino.

Dopo intere settimane, nonostante il dibattito sul tema sia ancora in corso, ed i fenomeni di inquinamento continuino a ripetersi, dell’interrogazione parlamentare del sen. Ruspandini non se ne ha più notizia.

Oltre a non essere stata protocollata nelle modalità preposte, voci di corridoio fanno trapelare che addirittura non sia stata neanche scritta, magari perché il senatore non ha trovato ancora nessuno all’altezza di farlo?

Un mistero della contea che si aggiunge alle numerose chiacchiere e pochi fatti concreti dell’amministrazione che lo stesso Ruspandini rappresenta.

Un’amministrazione in cui fascismo, ignoranza, clientelismo e bigottismo si mescolano formando un cocktail micidiale che sta facendo sprofondare ancor più la città di Ceccano, nella quale la piovra del malaffare sta già sondando il terreno per il grande business del recupero dell’area dell’ex stabilimento Annunziata.

Ceccano: i sostenitori di Caligiore e Ruspandini inneggiano a Erich Priebke. Vergogna!

post adinolfi priebke

Chi ha visto questo post sui social e non si è preoccupato di condannarlo pubblicamente e prenderne le distanze, è colpevole al pari di chi lo ha diffuso. In primis il sindaco della città di Ceccano Roberto Caligiore e il vice sindaco Massimo Ruspandini, che a questo punto hanno il dovere morale di riparare all’accaduto, chiedendo publiche scuse ed espellendo simili sostenitori da tutte le loro liste!

Non avendo certe amicizie sui social, sono venuto a conoscenza di ciò soltanto alcune ore fa.

Ritengo che la città di Ceccano, che ha dato i natali a Luigi Mastrogiacomo, barbaramente trucidato nelle Fosse Ardeatine, non possa accettare che uno dei più stretti attivisti e collaboratori dell’amministrazione Caligiore, nonché candidato in una delle sue liste, condivida su uno dei social network più diffusi, notizie simili che innegiano ad un lurido boia nazista, che arrivano a conquistare perfino un certo numero di “apprezzamenti”, coinvolgendo e deviando decine di giovani della nostra città.

Personalmente, attraverso le pagine di questo blog, mi attiverò sin da ora informando il Prefetto di Frosinone e tutte le Autorità competenti, affinché nei confronti di simili iniziative vengano intraprese le dovute iniziative, volte a contrastante un fenomeno sempre più preoccupante: l’insorgere di un sempre più diffuso neo nazi-fascismo!

Ceccano: nel giorno della memoria si menziona la presa di Fiume, non l’Olocausto!

federica aceto post 27 gennaio

L’idea malsana di sostituire il giorno della memoria con una commemorazione più autarchica prende il sopravvento nella città di Ceccano, dove non un consigliere comunale qualunque, ma la delegata alle politiche giovanili e presidente della Commissione Cultura, il giorno 27 gennaio è venuto in mente di postare sui social non la foto di un campo di concentramento, ma il ricordo del trattato di Roma del 1924.

Se a questo aggiungiamo la sua assenza e quella di tanti altri esponenti di Fdi, del vicesindaco Ruspandini prossimo alla candidatura al Senato, nonché dell’assessore alla cultura, alla premiazione degli alunni delle classi terze dell’Istituto Comprensivo Ceccano 2, il giorno 24 gennaio, relativamente alla XVI edizione del concorso nazionale “I Giovani Ricordano la Shoah”… se a questo aggiungiamo che il 27 Gennaio il Comune di Ceccano non ha organizzato alcuna commemorazione e patrocinato alcuna iniziativa in ricordo dell’Olocausto, il dubbio comincia a prendere sempre più una forma consistente.

E con la diffusione sui social del post che liberamente si è sentita di condividere, senza rendersi minimamente conto del ruolo istituzionale che ricopre, circostanza che negli ultimi mesi le sta sfuggendo un po’ troppo di mano, dopo la risata divenuta celebre nei confronti delle offese sessiste, pronunciate alla sua collega Manuela Maliziola, ecco che inscena il ruolo di attrice drammatica, per cui avrebbe forse una propensione migliore della politica. E così scrive a quanti hanno condiviso il suo post per sottolinearne la follia, asserendo frasi del tipo: “sono giovane, mi sono sbagliata, ma non sono fascista”.

Ecco la Aceto ha una sola possibilità. Dimostrare concretamente di non essere fascista, dichiarando il proprio antifascismo, chiedendo scusa ed organizzando iniziative concrete in ricordo dell’Olocausto, contro le leggi razziali nazi-fasciste!

Quello che però posta sui social, insieme all’ormai noto esercito del suo capo Ruspandini (un esercito che insulta gratuitamente e ricopre di fango ogni persona che si dissocia liberamente dal loro operato…), sembra dimostrare il contrario, con cuori neri e saluti romani compresi… ma certamente, come asserisce Veneziani, quei tipi di saluti sono più igienici!

E consentire l’elezione di Massimo Ruspandini al Senato, vuol dire portare in Parlamento tutto ciò!

 

federica aceto saluto romano e cuore nero

Ceccano: le offese sessiste sono l’emulazione di altri comportamenti… in primis del Sindaco

antifascisti

Le scuse per giustificare la frase sessista e scurrile pronunciata nel corso dell’ultimo consiglio comunale di Ceccano, non bastano.

Anche perché non si può colpevolizzare solo ed esclusivamente colui che materialmente ha pronunciato quella frase.

Ma ancor più non bastano se giungono con dei distinguo.

Gli altri protagonisti della vicenda, infatti, sono e restano i colleghi di maggioranza che hanno riso, prendendosi gioco non solo di una persona assente in sala e dunque incapace di potersi difendere, ma della credibilità intera dell’istituzione comunale e coloro che come Ponzio Pilato, se ne sono lavati le mani, prendendo meno le distanze dall’accaduto e non pretendendo nell’immediato le scuse.

Ma il protagonista principale di questa ondata di fenomeni culturalmente barbari che sta contraddistinguendo il Comune di Ceccano negli ultimi tempi, è e resta il sindaco Caligiore.

E’ stato proprio lui, infatti, con quel suo comportamento arrogante ed irrispettoso nei confronti dei suoi avversari e di chi in generale non la pensi come lui a dare il via libera ad una serie di episodi sfociati nella recente esclamazione del consigliere comunale della lista “Noi per Ceccano”.

La frase sessista, infatti, è solo l’ultimo episodio accaduto nel consiglio comunale di Ceccano, dove già nei mesi scorsi altri comportamenti altrettanto maleducati e violenti, commessi dal sindaco Caligiore in persona, hanno portato ed un accessivo permessivismo del Presidente del consiglio comunale, del tutto incapace di gestire l’assise, nonché alla loro emulazione.

Mi riferisco in modo particolare al gesto compiuto dal sindaco Caligiore qualche consiglio comunale fa, quando nel corso di un confronto con la minoranza, di cui fu protagonista sempre la consigliera Manuela Maliziola, prese in mano un plico di fogli e li gettò in aula, abbandonando poi la stessa.

Ed ancor prima di ciò, un altro grave episodio avvenne con le dichiarazioni gravissime di un consigliere comunale, inneggianti all’anniversario dell’occupazione della Polonia da parte delle truppe naziste tedesche. Vicenda sulla quale il Caligiore riuscì a far calare il silenzio, con l’aiuto della stampa “amica”, invece di cacciare a pedate l’autore di una simile e vergognosa affermazione pubblica.

Che il sindaco Caligiore abbia perso la testa, montandosela forse un po’ troppo, credendosi di potersi permettere qualsiasi tipo di comportamento, è ormai opinione consolidata tra molti cittadini di Ceccano e suoi ex elettori. E forse, chissà, non sbaglia il consigliere comunale del Pd, Giulio Conti, ad etichettarlo “ducetto”.

Ma se davvero Caligiore ha scambiato l’ente pubblico del Comune di Ceccano per la caserma di Bolzaneto, allora è tempo che qualcuno la testa glie la rimetta davvero sulle spalle.

Quanto accaduto nel corso dell’ultimo consiglio comuanle, dunque, non può e non deve essere sminuito per passare infine inosservato. Il tutto con l’aiuto di qualche collaborazionista improvvisato dell’ultima ora.

Occorre una mobilitazione di massa delle coscienze e di tutti coloro che hanno a cuore, oltre che il rispetto per le donne, la democrazia ed il vivere civile, in un paese che sta deviando pericolosamente verso l’indottrinamento alla cultura fascista, di cui questa generazione di amministratori, in gran parte sembrerebbe esserne pericolosamente e perdutamente innamorata.

Ceccano: un consiglio comunale volgare, sessista e che odia le donne…

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Quali valori sta trasmettendo l’amministrazione Caligiore ai giovani?

Mi ponevo questa domanda mentre ragionavo sul titolo da dare a questo mio scritto e francamente trovo che ci sia poco da ridere…

Le risposte sono molteplici, ma tra le molteplici negatività, ciò che fino a qualche giorno fa mancava all’appello era quell’istinto discriminatorio verso le donne, il sessismo e quel maschilismo frutto di una sottocultura barbara e fascista.

Non starò qui a fare il nome del consigliere comunale che sorridendo a bocca piena, forse perché già con il panettone tra i denti, ha vomitato una delle affermazioni più squallide e violente che mai, da quando frequento la sala del consiglio comunale di Ceccano, mi era capitato di udire prima.

I nomi che farò, invece, sono quelli del presidente del consiglio comunale Corsi, che non ha prontamente interrotto il suo collega e chiesto scusa per quanto da egli pronunciato in totale disprezzo del genere femminile, associandosi al contrario alle risate di qualcuno, e del sindaco Caligiore.

Evidentemente sulle donne la pensano esattamente allo stesso modo.

Mi dispiace, però, aver notato che anche le donne presenti nel consiglio comunale, a partire dalla segretaria generale, e che compongono l’amministrazione Caligiore, non abbiano prontamente preso le distanze e per questo difeso la consigliera comuanle Manuela Maliziola, per l’attacco ignobile dalla stessa subito.

Un attacco che nulla aveva di politico, frutto soltanto di una pochezza culturale che vede ancora taluni soggetti arrogarsi il diritto di superiorità nei confronti delle donne.

Ma forse da queste signore, più che al servizio della politica sarebbe meglio precisare al servizio di qualche loro padrone che le comanda a bacchetta, come schiave per l’appunto, nulla di diverso ci si poteva aspettare… nemmeno la difesa di una persona del loro stesso sesso, barbaramente discriminata, in diretta streaming, per quel particolare che contraddistingue ogni donna nella sua età fertile.

E non c’è da stare qui ad invocare l’intervento de le femen, ma di agire concretamente contro questa ondata di cultura barbara, discriminatoria e fascista, messa in atto dall’amministrazione Caligiore e dalla sua anarchia del potere.

Ceccano: fusti interrati ed inquinamento da olio che avrebbe raggiunto Priverno. Situazione ambientale da chiarire con urgenza.

Nel corso dell’ultimo consiglio comunale, a partire dal minuto 02:30:00, un assessore comunale si è lasciato andare a dichiarazioni che metterebbero in evidenza una situazione ambientale ancor più grave di quella che fino ad ora avevamo ipotizzato, dovuta a suo dire a: – “l’esistenza di migliaia di fusti interrati presso un’ex area industriale di Ceccano”; – “l’olio versato dalla ex Clipper (ora Viscolube) che sarebbe arrivato nel territorio di Priverno”. A fronte di queste dichiarazioni rese note da un membro della giunta comunale di Ceccano, chiedo al sindaco Caligiore: – tali fatti sono stati riportati nel testo dell’esposto presentato alla Procura della Repubblica? – l’ordinanza di divieto di utilizzo dei pozzi, nell’area adiacente nel limite di 500 metri di distanza dal sito industriale dell’attuale Viscolube, sarà estesa a fronte delle dichiarazioni rese note dall’assessore, secondo cui l’olio sarebbe arrivato nel territorio comunale di Priverno? La Procura della Repubblica di Frosinone approfondirà quanto reso noto pubblicamente dall’assessore?

Ceccano: in anteprima i risultati del monitoraggio dell’Arpa presso la scuola di via Passo del Cardinale

Ancor prma dell’amministrazione comunale Caligiore, che dovrebbe pubblicare sul proprio sito internet istituzionale, tutte le notizie concernenti questioni ambientali, in modo particolare risultati di analisi e campionature, e che avrebbe dovuto avere la stessa a disposizione già per il consiglio comunale svoltosi nella giornata di ieri, vista la tematica trattata, pubblichiamo su questo blog la relazione dell’Arpa in merito al monitoraggio effettuato, a seguito della costante presenza odorifera riscontrata nelle scorse settimane da centinaia di persone e la necessità di evacuare e chiudere il plesso scolastico di via Passo del Cardinale.

La relazione dell’Arpa è composta da circa 40 pagine, nelle quali viene fatta un’analisi non solo in merito ai risultati forniti dalla campagna di monitoraggio, ma anche attraverso un approfondimento e studio dei venti, nonché un’analisi sulla vicinanza della scuola, in linea d’aria, a diverse attività menzionate dall’Arpa stessa, già nelle pagine 5 e 6 del documento, di scui si allega anteprima.

relazione arpa pag. 5

relazione arpa pag. 6

L’intero documento è invece scaricabile cliccando sul seguente link:

relazione Arpa – Passo del Cardinale